Non ho mai amato particolarmente gli animali. Oddio, certo, li rispetto ma a essere
sincera non ho mai avuto il desiderio di avere in casa un gatto, un cane, un canarino,
neppure un pesce rosso.
Non ho mai avuto il pensiero, in poche parole, di dividere il mio appartamento con
un animale domestico.
A meno che...
A meno che un giorno non suoni alla porta il mio dirimpettaio dagli occhi azzurri,
con una richiesta. Siccome lo hanno contattato per un colloquio di lavoro in Svizzera
e deve praticamente partire prima possibile, mi chiede se posso tenere Pablo, il suo
micione dal pelo rosso, per qualche giorno.
Un paio, non di più.
Non posso dirgli di no se quando me lo chiede mi guarda dritto negli occhi e io mi
perdo in quel blu disarmante.
Così, io e Pablo, iniziamo la nostra strana convivenza. Lui, si muove guardingo in
casa, forse è solo per orientarsi nel nuovo ambiente.
Io, lo accudisco meglio che posso seguendo le istruzioni che mi sono state lasciate
insieme a lettiera, ciotole e crocchette.
Tutto procede pressoché normale fino a quando entro in casa con le borse della spesa
e, in un nanosecondo, Pablo approfitta della porta socchiusa per scendere di corsa le
scale.
Oh mamma! Mollo gli acquisti e mi precipito con le sole chiavi di casa in mano
cercando di raggiungerlo.
Lo vedo che procede sul marciapiede e si volta a guardare quanta distanza ci separa,
pronto a scappare non appena mi avvicino a lui.
Oh mamma, mamma, mamma. Ora Pablo gira l’angolo della strada e si intrufola
nella cancellata sbilenca di un vecchissimo palazzo disabitato da chissà quanto
tempo.
Riprendo fiato, osservo il giardino incolto per capire dove si sia nascosto il
maledetto dal pelo rosso. Poi lo vedo mentre gira l’angolo della casa, lo inseguo
mentre scende le scale esterne di uno scantinato.
Gli corro dietro fino all’ultimo scalino. Mi giro e nel buio vedo la sagoma di Pablo
in cima alle scale.
Oh mamma, mamma, mamma.
Poi uno scricchiolio secco e ogni scalino si sgretola nel vuoto, come un insieme di
pedine di domino in equilibrio che si rovesciano.
Urlo, chiamo Pablo ma, a che serve? Come potrà aiutarmi un gatto?
Meglio continuare comunque a chiedere aiuto più forte che posso perché da sola non
riuscirei mai a risalire da quaggiù.
...
Sono qua, sotto questo palazzo, con la gola che mi brucia perché ho urlato per non
so quanto tempo. E’ buio pesto, non ho neppure il cellulare con me. Mi rannicchio in
un angolo e sento qualcosa di peloso che mi sfiora il braccio.
Oh Pablo! Allungo la mano ma sto accarezzando una coda lunga e sottile .
Oh mamma, mamma, mamma, un topo!
....
Passano le ore, intravedo un po' di luce del un nuovo giorno e poi ... un momento,
che sono questi rumori? Ruspe? Bulldozer? Riconosco il fragore di pietre che
collassano al suolo e inizio a urlare e a urlare più forte e ancora più forte, a chiedere
aiuto ma sembra che la mia voce si perda in quel fracasso...
Poi tutto pare fermarsi.
Silenzio.
<< Micio, vieni micio, vieni >> sento una voce sempre più vicina.
<< Sono qui, sono qui sotto, aiutatemi vi prego >> riesco a dire solo questo.
Gli operai che sono lì per demolire il vecchio palazzo mi riportano finalmente fuori
da quell’incubo.
<< E’ stata una fortuna che abbia visto quel bel gatto rosso svoltare l’angolo>> dice
l’uomo sceso dall’escavatore << Avevo paura che potesse rimanere intrappolato
sotto le macerie>>.
Mi consegna Pablo, lo stringo tra le braccia: quanto amo questo micione dal pelo
rosso!
Non ho mai amato particolarmente gli animali, ma potrei cambiare idea, no?
Azzurrocielo
racconto per l'incontro del 19-2 Te' col Cappellaio Matto organizzato da Gisella di Fiabacedario